Beyond Bulls & Bears

Barometro di gennaio e opportunità di mercato

Questo contenuto è disponibile anche in: Inglese Cinese semplificato Olandese Francese Tedesco Polacco

Se l’andamento del mercato nelle prime settimane di gennaio è un barometro dell’anno che ci attende, è possibile che gli investitori si trovino ad affrontare una qualche burrasca. (Naturalmente, sappiamo tutti quanto siano precise le previsioni del tempo, figuriamoci quindi quelle di mercato!) Il Templeton Global Equity Group considera le fasi di turbolenza dei mercati come opportunità, cercando di individuare occasioni per gli investitori pazienti e consapevoli di quanto cicli – e sentiment – possano cambiare rapidamente. In quest’articolo, il team analizza gli eventi che hanno determinato l’andamento dei mercati azionari dall’inizio di quest’anno e alla luce delle condizioni attuali illustra la sua strategia d’investimento orientata al valore.

Heather Arnold
Heather Arnold
Norm Boersma
Norm Boersma
Cindy Sweeting
Cindy Sweeting

 

Norman J. Boersma, CFA
Chief Investment Officer
Templeton Global Equity Group

Cindy L. Sweeting, CFA
Director of Portfolio Management
Templeton Global Equity Group

Heather Arnold, CFA
Director of Research, Portfolio Manager, Research Analyst
Templeton Global Equity Group

Come già evidenziato in altre occasioni, negli ultimi anni i titoli “value” tradizionali hanno registrato la performance negativa storicamente peggiore sia in termini di durata che di entità. Dopo anni di continua pressione sui titoli a multipli bassi, riteniamo che il contesto attuale sia ricco di opportunità per gli investitori pazienti e orientati al valore. Sebbene non sia stato ancora completamente riconosciuto come tale, questo potrebbe essere il momento ideale per la ricerca del valore. Sicuramente c’è voluto molto tempo perché ciò avvenisse. Una lunga fase rialzista degli asset a reddito fisso per quasi tre decenni ha fornito agli investitori obbligazionari rendimenti di tipo azionario, con una bassa volatilità. Sono poi arrivati la crisi finanziaria globale, la conseguente avversione al rischio e l’ingresso nel mercato obbligazionario di soggetti statali con poteri illimitati di stampare moneta sotto forma di misure di allentamento quantitativo, che hanno completamente assorbito tutto il valore eventualmente rimasto nel segmento obbligazionario a basso rischio. Successivamente, la scomparsa di opportunità di rendimento a basso rischio nei mercati obbligazionari ha spinto gli investitori fuori dalla curva del rischio e verso settori azionari tradizionalmente difensivi con coefficienti di distribuzione ragionevoli.  Al contempo, le difficoltà in termini di deflazione del debito gravanti sull’economia mondiale dopo la crisi finanziaria globale hanno generato una mancanza di remunerazione (premium) per la crescita. Di conseguenza, i due settori azionari che offrono le maggiori aspettative – ed hanno le valutazioni più elevate – sono quelli assimilabili agli obbligazionari ed aventi una propensione a generare dividendi (beni di prima necessità, servizi di pubblica utilità) e quelli generatori di crescita autosufficiente (salute, tecnologia, beni voluttuari). Non sorprende che questi cinque settori siano anche quelli più “affollati” da parte degli investitori, come evidenziato da un insieme composito di indicatori quali detenzione da parte di istituzionali, sentiment e previsioni di consenso. Con questo non intendiamo affermare che complessivamente tali settori siano privi di valore; tuttavia, non ci sorprende che le opportunità siano meno abbondanti in queste aree in voga.

Come osservò Sir John Templeton nel 1979: “Se volete acquistare la stessa cosa che è apprezzata dai vostri amici o che è popolare tra gli analisti degli investimenti, non potete assicurarvi un affare… Se intendete conseguire performance superiori, dovete acquistare ciò che gli altri non acquistano, o addirittura ciò che vendono”. Le valutazioni eccessive dei premi al rischio associati ai titoli difensivi, di ottima qualità e a crescita elevata, fanno sì che i corrispondenti titoli con caratteristiche opposte – titoli value di natura ciclica – siano storicamente poco costosi e poco presenti nei portafogli. Contrariamente ai settori sopra citati, i dati hanno dimostrato come a fine anno i titoli dei settori energia, materiali, finanza e industria fossero prossimi ai minimi storici per “affollamento”. Siamo convinti che oggi questi settori offrano probabilmente agli investitori pazienti alcune delle migliori opportunità di lungo termine sui mercati azionari. Ciononostante, sebbene nel tempo le valutazioni siano state tra i più forti indicatori per la generazione di performance, storicamente non sono affidabili come segnali di tempistica per acquisti/vendite. Alla luce di questa limitazione, esaminiamo alcune delle nostre principali convinzioni, analizzando le valutazioni, ma anche gli andamenti e le tendenze settoriali, allo scopo di determinare in quale fase del ciclo ci troviamo e quali prospettive potrebbero profilarsi nel 2016.

Segnali di valore in energia e finanza

Nel 2015, il settore dell’energia ha dominato la scena, in quanto il petrolio ha registrato il maggiore calo in assoluto su due anni a fronte di un crescente eccesso di offerta e dell’intensificarsi della lotta per la conquista di quote di mercato in tutto il mondo. Dal punto di vista delle valutazioni, il segnale di acquistare per i titoli dell’energia sta diventando sempre più interessante per noi. Su una base di 20 anni di dati globali e quasi 90 anni di dati statunitensi, il settore dell’energia non ha mai raggiunto multipli prezzo-valore contabile inferiori a quelli toccati a fine 2015[1]. La risposta degli scettici a queste interessanti valutazioni headline tende a essere la diffidenza nei confronti dei valori contabili, che in effetti in alcuni casi sono probabilmente sovrastimati ed esposti ad ulteriori perdite di valore. Tuttavia nel solo primo semestre del 2015 le società petrolifere hanno effettuato un numero di svalutazioni storicamente maggiore rispetto a qualsiasi esercizio annuale. Sebbene ci attendiamo ulteriori frizioni nel segmento dell’energia, il momento peggiore è già passato.

Per quanto concerne le prospettive del settore energetico, prendiamo atto innanzitutto che nel 2015 la domanda petrolifera globale è stata la più elevata degli ultimi cinque anni[2], dal che ne deriva che il recente crollo dei prezzi è essenzialmente legato all’offerta. La persistenza di prezzi più bassi per un periodo più lungo è in larga parte dovuta alla decisione dell’Arabia Saudita di continuare a immettere petrolio in un mercato caratterizzato da un eccesso di offerta. Si tratta di una strategia fondata sia su principi economici (l’eccesso di offerta costringe i produttori ad alto costo a uscire dal mercato e protegge la quota di mercato saudita) che geopolitici (i prezzi bassi causano notevoli problemi a paesi produttori di petrolio concorrenti come Russia e Iran). La maggiore produzione proveniente da altre aree del Medio Oriente, nonché l’offerta resiliente dai giacimenti di scisto statunitensi e i successi della produzione in Russia e nel Golfo del Messico, hanno tutti concorso a creare l’eccesso di offerta e a prolungare il ribilanciamento nel 2015. Riteniamo tuttavia che questa situazione sia temporanea. I principali produttori sovrani non hanno i mezzi finanziari per sostenere all’infinito i prezzi bassi del petrolio, ai quali sono imputabili i significativi deficit di bilancio che stanno registrando Arabia Saudita, Russia, Brasile e Venezuela. Dobbiamo ricordare che il petrolio è una risorsa finita, con un tasso di declino naturale mediamente del 4%–5% annuo, una percentuale che aumenta soltanto se le società riducono gli apporti di capitale per far fronte al contesto di prezzi bassi. A mano a mano che il settore adotta un atteggiamento sempre più orientato alla salvaguardia delle risorse, riteniamo che i conseguenti sottoinvestimenti nella produzione siano di buon auspicio per un’eventuale ripresa dei prezzi del petrolio.

I rischi per una ripresa tempestiva comprendono aumenti imprevisti della produzione (Iran, Nord Africa e l’elasticissima industria statunitense degli scisti, tanto per citarne alcuni) o contrazioni della domanda dovute a un rallentamento dell’economia. Condizioni creditizie favorevoli e rapida deflazione dei costi di servizio hanno anch’esse prolungato l’adeguamento, sebbene questi ammortizzatori si siano sostanzialmente esauriti. Nell’ambito di questo settore continuiamo a preferire le imprese con bilanci abbastanza forti da essere in grado di fronteggiare una prolungata debolezza dei prezzi, fintanto che il mercato cerca di riportarsi in equilibrio.

0116_TGEG_Values_v2_INTL_ita_1La finanza è un altro settore che a nostro giudizio invia segnali di valore convincenti, soprattutto in Europa. In generale, tassi d’interesse storicamente bassi e ciclo economico fiacco hanno esercitato una pressione costante sui titoli finanziari comprimendo i margini d’interesse netti e soffocando l’attività creditizia. Sebbene le banche non dispongano di una bacchetta magica con cui predisporre una svolta dei cicli economici o creditizi, è difficile immaginare ulteriori ribassi dei tassi rispetto ai livelli attuali. In effetti, in un contesto in cui la Federal Reserve ha finalmente cominciato ad aumentare i tassi d’interesse e metà dei titoli di stato europei con scadenze inferiori a cinque anni pagano rendimenti negativi, ci sembra che il ciclo dei tassi sia prossimo al punto più basso e pronto a risalire. In particolare, siamo incoraggiati dal progresso evidente delle misure che queste società sono in grado di controllare. Nel settore bancario statunitense sono state attuate profonde riforme dopo la crisi finanziaria globale, tagliando i costi, diminuendo i rischi e cedendo o ristrutturando gli asset sottoperformanti. I sistemi di regolamentazione sono diventati più rigorosi e sono state imposte sanzioni per violazioni di varia gravità. Nonostante il contesto normativo e macroeconomico ancora difficile, l’industria sembra oggi aver sostanzialmente raddrizzato la rotta. Nel settore bancario statunitense rimangono opportunità selettive, concentrate tra le società con vantaggi competitivi sostenibili o punti di forza a livello internazionale sottovalutati.

La crisi bancaria europea ha raggiunto il culmine tre anni dopo gli Stati Uniti e la ristrutturazione del settore ha seguito un percorso simile. Lo scorso anno, si sono registrati progressi significativi in Europa in quanto importanti cambiamenti ai vertici di parecchie banche di primo piano hanno suggerito la fine della ristrutturazione dell’era di crisi e un potenziale inizio di una nuova fase di crescita e stabilità, comprendente prospettive di miglioramento dei dividendi e restituzioni di capitali. Liquidità e capitali bancari in Europa sono diventati molto più solidi e gli accantonamenti per salvaguardarsi dalle perdite sui crediti possono calare ulteriormente di pari passo con la stabilizzazione delle condizioni macroeconomiche. Sebbene a fine anno il ciclo economico europeo sia rimasto innegabilmente fiacco, gli indicatori anticipatori di crescita dei prestiti, quali domanda di credito, crescita della massa monetaria e sondaggi tra i responsabili delle concessioni di credito, sono stati nettamente positivi. Analogamente, l’oneroso regime normativo europeo si è mostrato meno rigido nel corso dell’anno; per esempio, nel Regno Unito, George Osborne, il Cancelliere dello Scacchiere ha ridotto gli oneri fiscali per le banche, mentre, Lord Hill, il Commissario dell’Unione europea per i servizi finanziari ha parlato in pubblico della possibilità che l’impostazione normativa post-crisi sia stata eccessiva.

Altrove sul fronte politico, l’accomodamento monetario è rimasto a livelli estremi e la proposta recentemente presentata di un’unione dei mercati di capitali ha dato adito a speranze di un settore più dinamico, liquido e integrato. Infine, per quanto riguarda le valutazioni, verso la fine dell’anno, le banche europee sono state scambiate a uno sconto notevole rispetto al valore contabile tangibile, una deviazione standard[3] al di sotto del multiplo prezzo/utile storico atteso e quasi al minimo ventennale in rapporto ad analoghi istituti bancari globali[4]. Rileviamo inoltre opportunità di valore selezionate nel settore finanziario in Asia, sia in mercati bancari maturi, a bassi utili come Corea del Sud e Singapore, che in mercati orientati alla crescita e con scarsi livelli di penetrazione come la Cina (soprattutto nelle assicurazioni) e India (in particolare sul versante bancario).

0116_TGEG_Values_v2_INTL_ita_2Ripercussioni della situazione cinese

Le turbolenze dei mercati azionari della Cina continentale e le successive ripercussioni sui mercati di tutto il mondo nelle prime settimane del 2016 hanno comprensibilmente creato tra gli investitori un certo nervosismo, e la questione merita di essere esaminata più a fondo. Il crollo del mercato cinese ha varie spiegazioni: gli hedge fund sono costretti a vendere, un periodo di lock-up per gli azionisti di maggioranza era in scadenza (successivamente posticipata) e le manovre valutarie suscitano timori di una svalutazione competitiva. I circuit breaker scattati recentemente per arginare questo panico hanno avuto l’effetto opposto, amplificando la corsa alle vendite prima della chiusura del mercato (e sono stati in seguito sospesi alla luce del loro effetto deleterio). A parte la discussione su questi fattori tecnici e di breve termine, la Cina si trova dinanzi a notevoli ostacoli di natura economica e finanziaria e una serie di passi falsi a livello politico ha sollevato preoccupazioni per la capacità dei suoi governanti di gestire con successo queste difficoltà. Tuttavia, è importante ricordare che l’attuale passaggio della Cina da un’economia industriale a base manifatturiera a un’economia di consumo orientata ai servizi, rappresenta una normale fase della maturità e dell’evoluzione di qualunque economia e abbiamo sempre previsto che questo passaggio richiedesse un processo pluriennale.

I fattori che complicano il processo cinese, aumentandone i rischi, sono i livelli elevati di debito del paese, la cui reale entità e il cui livello di proliferazione rimangono sconosciuti. Un altro rischio headline primario nel breve termine è la gestione cinese del renminbi. Da una parte, Beijing accoglie favorevolmente le condizioni finanziarie più accomodanti e la maggiore competitività delle esportazioni associate a una valuta alquanto più debole; dall’altra, la Cina registra significative passività esterne e crescenti deflussi di capitali e non può permettersi che la gestione del graduale deprezzamento della propria valuta vada fuori controllo, compromettendo in tal modo la protezione costituita dalle sue riserve valutarie. La People’s Bank of China ha venduto le riserve in dollari statunitensi a una velocità allarmante per mantenere una svalutazione ordinata e vi sono rischi non trascurabili che perda il controllo qualora le pressioni continuino a intensificarsi. Tuttavia, per chi attende un’“esplosione” dei mercati emergenti causata dalla Cina, è importante riconoscere che le principali economie emergenti, dalla Russia alla Cina, al Sudafrica e al Brasile, solo nell’ultimo paio d’anni hanno già registrato crisi di notevole entità . A fine anno, il sentiment degli investitori nei mercati emergenti aveva raggiunto il minimo degli ultimi 20 anni e un indice dei titoli dei mercati emergenti era al livello più basso mai toccato in termini di multipli degli utili e tendenze, indicando che, almeno in alcuni casi, le preoccupazioni potrebbero essere adeguatamente scontate. Abbiamo mantenuto un approccio prudente e altamente selettivo a questi mercati volatili, tuttavia le valutazioni stanno diventando generalmente interessanti.

Alla fine, una volta calmatasi la situazione (a seguito di un adeguamento brusco, “hard landing”, o di un’evoluzione prolungata, “soft landing”), la Cina dovrebbe trovarsi con un’economia che, pur crescendo più lentamente, sarà anche più equilibrata, dinamica e orientata al mercato. Infine, gli investitori non dovrebbero confondere i mercati finanziari della Cina con la sua economia. Il mercato rappresenta ancora soltanto una percentuale modesta del prodotto interno lordo cinese e il suo impatto sul patrimonio delle famiglie è limitato (il possesso di azioni non è ampiamente diffuso tra i cinesi, che tendono a investire una percentuale maggiore del loro patrimonio in immobili). Gli eventi cinesi ricordano che i mercati azionari sono volatili. Come abbiamo visto durante la crisi finanziaria globale, anche gli Stati Uniti – considerati il mercato più ampio, più equo, più liquido e meglio regolamentato del mondo – tendono a oscillazioni estreme dei prezzi, decisamente maggiori di qualunque variazione duratura del valore economico sottostante. Un mercato come quello cinese, in cui vi è limitata esperienza in materia di investimenti e di normativa e le ambizioni liberali sono fondamentalmente in contrasto con l’ideologia politica dominante, è destinato a essere volatile. La crescita di tale mercato aggiunge indubbiamente una componente di instabilità al sistema finanziario globale, ma aumenta anche le opportunità nel lungo termine per chi cerca opportunità di sfruttamento della volatilità.

Una lezione fondamentale che abbiamo imparato in sei decenni di investimenti sui mercati azionari globali è che i rendimenti accrescono il valore in modo intermittente. Quando il ciclo del valore cambia, tende a farlo in modo brusco e repentino. Essere posizionati adeguatamente per far fronte a questi cambiamenti è essenziale per cogliere i benefici di lungo termine della disciplina d’investimento nel valore. Attualmente stiamo assistendo a livelli storici estremi dello sconto in termini di valore rispetto a crescita, qualità e sicurezza. Sebbene questo contesto sia stato (e possa rimanere) difficile nel breve-medio termine, l’eventuale normalizzazione di questi estremi rappresenta alla fine l’opportunità più interessante sui mercati azionari odierni e i nostri portafogli sono posizionati di conseguenza.

Note Informative e Legali

I commenti, le opinioni e le analisi rappresentano i pareri personali del gestore degli investimenti e hanno finalità puramente informative e d’interesse generale e non devono essere considerati come una consulenza individuale in materia di investimenti né come una raccomandazione o sollecitazione ad acquistare, vendere o detenere un titolo o ad adottare qualsiasi strategia di investimento. Non costituiscono una consulenza legale o fiscale. Le informazioni fornite in questo materiale sono rese alla data di pubblicazione, sono soggette a modifiche senza preavviso e non devono essere intese come un’analisi completa di tutti i fatti rilevanti relativi a un paese, una regione, un mercato o un investimento.

Nella redazione di questo materiale potrebbero essere stati utilizzati dati provenienti da fonti esterne che non sono stati controllati, validati o verificati in modo indipendente da Franklin Templeton Investments (“FTI”). FTI non si assume alcuna responsabilità in ordine a perdite derivanti dall’uso di queste informazioni e la considerazione dei commenti, delle opinioni e delle analisi in questo materiale è a sola discrezione dell’utente. Prodotti, servizi e informazioni potrebbero non essere disponibili in tutte le giurisdizioni e sono offerti da società affiliate di FTI e/o dai rispettivi distributori come consentito dalle leggi e normative locali. Si invita a rivolgersi al proprio consulente professionale per ulteriori informazioni sulla disponibilità di prodotti e servizi nella propria giurisdizione.

CFA® e Chartered Financial Analyst® sono marchi di proprietà del CFA Institute.

Quali sono i rischi?

Tutti gli investimenti comportano rischi, inclusa la possibile perdita del capitale. Il valore degli investimenti può subire rialzi e ribassi; di conseguenza, gli investitori potrebbero non recuperare l’intero ammontare del proprio investimento. È possibile che i titoli value non aumentino di prezzo come previsto o subiscano un ulteriore calo di valore. Nella misura in cui un portafoglio si concentra di volta in volta su particolari paesi, regioni, industrie, settori o tipi di investimento, può essere soggetto a un rischio più elevato di sviluppi negativi in tali aree di focalizzazione rispetto a un portafoglio che investe in una gamma più ampia di paesi, regioni, industrie, settori o investimenti. Gli investimenti esteri comportano rischi particolari quali fluttuazioni dei cambi, instabilità economica e sviluppi politici; gli investimenti nei mercati emergenti implicano rischi accentuati legati agli stessi fattori.

___________________________________________________________

[1] Fonti: FactSet, MSCI. La performance passata non è garanzia di risultati futuri. Per una singola società, il rapporto prezzo/valore contabile (P/B) è la quotazione azionaria corrente divisa per il valore contabile (o patrimonio netto) per azione di una società. Nel caso di un indice, il rapporto prezzo/valore contabile è la media ponderata dei rapporti prezzo/valore contabile di tutti i titoli inclusi nell’indice. Per maggiori informazioni sui fornitori dei dati, si rimanda al sito web www.franklintempletondatasources.com.

[2] Fonte: International Energy Agency, “Oil Market Report”, 11 dicembre 2015.

[3] La deviazione standard è considerata una misura della volatilità, rappresentando la deviazione di un gruppo di dati da una media.

[4] Fonti: FactSet, MSCI. La performance passata non è garanzia di risultati futuri. Il rapporto prezzo/utile (P/E) di un singolo titolo rapporta la quotazione azionaria all’utile per azione della società. Il rapporto prezzo/utile (P/E) di un indice è la media ponderata dei rapporti prezzo/utile dei titoli inclusi nell’indice. Per maggiori informazioni sui fornitori di dati, si rimanda al sito web www.franklintempletondatasources.com.