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Prospettive per il 3° trimestre: un atto di fede
All’inizio del terzo trimestre, concentriamo la nostra attenzione sugli interventi della Federal Reserve (Fed). La Fed ha ora aumentato i tassi d’interesse quattro volte nell’ambito di un’apparente normalizzazione della politica monetaria cominciata a dicembre 2015. Dal punto di vista degli investimenti, riteniamo che la decisione della Fed di aumentare gli interessi sia positiva, soprattutto alla luce di una divergenza tra la politica statunitense e quella delle Banche Centrali di tutto il mondo, come la Banca Centrale Europea (BCE) e la Bank of Japan (BOJ), che mantengono politiche monetarie accomodanti. Questa dispersione dovrebbe contribuire a creare opportunità fertili atte a consentire alle strategie alternative attive di conseguire performance[1] alfa-centriche.
Da una prospettiva macroeconomica, valutiamo comunque la decisione della Fed con maggiore prudenza. Con ciò non intendiamo dire che la misura sia stata sbagliata; non pretendiamo di sapere meglio della Yellen e dei suoi colleghi quali siano i migliori interventi attuabili.
Alla luce dell’incarico che rivestono e del loro mandato di favorire un’economia sana, si potrebbe affermare che non avevano altra scelta se non intervenire. Vi è comunque chi ritiene che la Fed non dovrebbe aumentare i tassi d’interesse quando l’inflazione core statunitense è così bassa. In effetti, il Presidente della Fed di Minneapolis Neel Kashkari non ha concordato con tale decisione, osservando che negli ultimi tempi il mercato ha evidenziato segnali contrastanti, ossia tensioni sul mercato, ma parallele a un indebolimento dell’inflazione. In una lettera datata 16 giugno, ha spiegato il suo dissenso nel modo seguente: “Da una parte, sono istintivamente portato a credere nella logica… un mercato del lavoro teso dovrebbe portare a un clima competitivo per i lavoratori, con un conseguente incremento dei salari. Alla fine, le società dovranno fare ricadere parte di tali costi sui propri clienti, il che dovrebbe tradursi in un aumento dell’inflazione. Dall’altra parte, i dati non supportano questa tesi… l’inflazione core è in realtà in calo, anche se il mercato del lavoro evidenzia tensioni.”
Di conseguenza, i dati non supportano interamente la tesi della Fed. Sotto certi aspetti, si potrebbe affermare che la decisione di aumentare i tassi rispecchia un atto di fede, vale a dire fede nella teoria economica rispetto alla realtà, perché nonostante le tensioni che si sono gradualmente create sul mercato del lavoro a partire da marzo, non sembra che ci stiamo avvicinando tanto all’obiettivo d’inflazione della Fed.
A nostro avviso regna un certo approccio del tipo “stiamo a vedere cosa succede”. Lo diciamo perché, in tutta franchezza, chi può davvero sapere cosa succederà? L’economia è una questione decisamente complessa. Indipendentemente dal grado di sofisticazione o dalla profondità intellettuale applicata ai vari modelli usati dagli studiosi moderni, le loro analisi in generale non forniscono valutazioni affidabili del comportamento del mondo reale. Così come la meteorologia ha compiuto pochi progressi negli ultimi decenni, in termini di miglioramento delle probabilità delle previsioni del tempo (malgrado un aumento esponenziale della capacità di elaborazione nello stesso periodo), la modellazione delle economie rimane – nella migliore delle ipotesi – approssimativa, sotto tutti gli aspetti e per ogni finalità.
Dato il numero infinito di fattori in gioco, in un quadro dinamico di mercati in continua evoluzione, prevedere gli esiti dei rapporti causa-effetto è virtualmente impossibile. Il concetto si può spiegare usando le parole immortali di Albert Einstein “finché le leggi della matematica si riferiscono alla realtà, non sono certe e finché sono certe, non si riferiscono alla realtà”.
Le stime d’inflazione sembrano piatte e potrebbero addirittura tendere al ribasso. Forse avremmo dovuto attendere più dati per vedere se il recente calo dell’inflazione sia davvero “passeggero” come sembrano indicare le dichiarazioni di Yellen. O forse no. Soltanto il tempo lo dirà.
Long short equity in Europa
Indipendentemente da ciò che emerge in termini di crescita economica e inflazione in Nord America, restiamo fiduciosi nei fattori direzionali favorevoli che supportano la negoziazione long short equity in Europa.
I mercati azionari europei hanno continuato a beneficiare di valutazioni relativamente favorevoli, di una migliore crescita degli utili e della complessiva reflazione globale. Avendo risolto la maggior parte dei problemi bancari, l’Europa sembra in grado di crescere nuovamente. Prevediamo inoltre che il contesto alfa rimarrà probabilmente robusto in quanto particolari società, settori e paesi sono destinati a trarre benefici significativamente maggiori di altri. Nonostante la mancanza di volatilità di mercato, le correlazioni sono diminuite e la dispersione è aumentata, creando un terreno fertile per la selezione dei titoli basata sui fondamentali.
Per esempio, il notevole deprezzamento della sterlina inglese ha creato un maggior grado di separazione e divario in termini di utili tra le società che traggono benefici più rilevanti dalle esportazioni e quelle che non ne traggono. E a mano a mano che i tassi d’interesse nella regione cominciano ad aumentare, il contesto per gli investimenti long short dovrebbe migliorare ulteriormente.
Negli ultimi mesi, abbiamo inoltre osservato interessanti rotazioni settoriali, per esempio verso i finanziari e la tecnologia, mentre alcuni settori energetici difensivi e investimenti legati alle materie prime sono rimasti arretrati. Questa dinamica ha offerto ai gestori la possibilità di adottare posizioni lunghe di qualità a fronte di coperture di mercato relativamente efficienti.
Divergenza tra le politiche delle Banche Centrali: un potenziale vantaggio per gli investimenti relative value – obbligazionari
I percorsi divergenti delle Banche Centrali delle maggiori economie globali contribuiranno prevedibilmente ad offrire migliori opportunità direzionali. La partecipazione di acquirenti e venditori direzionali di obbligazioni dovrebbe tradursi in maggiori inefficienze di mercato tra liquidità, obbligazioni e futures, favorendo in misura minore la negoziazione relative value direzionale.
In particolare, i gestori che adottano questa strategia rilevano opportunità in due aree principali: arbitraggi cross-country e arbitraggi cross-sector. I quattro rialzi dei tassi d’interesse operati dalla Fed a partire da dicembre 2015 indicano chiaramente l’intenzione della Banca Centrale di normalizzare i futuri livelli dei tassi d’interesse.
Al contempo, la BCE e la BOJ mantengono un approccio piuttosto stimolante. Questa divergenza potrebbe creare dispersioni in grado di offrire opportunità alternative, come per esempio posizioni short su titoli di stato USA rispetto a posizioni long su obbligazioni dell’eurozona.
Commodity Trading Advisor (CTA) macro
Per strategie CTA si intendono operazioni di negoziazione momentum-type e trend-following sistematico. Siamo ottimisti circa le strategie CTA macro basate su una combinazione di condizioni trend-following più forti e minori correlazioni cross-asset. La bassa volatilità su tutti i principali mercati rimane un fattore sfavorevole (soprattutto per i gestori sistematici che si basano sui prezzi), ma giudichiamo favorevolmente la scarsa correlazione della strategia con le classi di asset tradizionali e le potenziali caratteristiche di attenuazione del rischio in alcuni contesti di mercato.
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Quali sono i rischi?
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Le prospettive delle strategie alternative sono determinate rispetto ad altre strategie alternative e non rappresentano un’opinione relativamente alla performance futura attesa assoluta o rischio di alcuna strategia o sotto-strategia. Il sentiment di convinzione è determinato dal gruppo di Ricerca di K2 Advisors sulla base di una varietà di fattori che si considerano rilevanti per l’analista/ gli analisti che coprono la strategia o sotto-strategia e può variare di volta in volta a sola discrezione dell’analista.
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[1]L’alfa è una misura rettificata per il rischio del valore che un gestore attivo di portafoglio aggiunge o sottrae dal rendimento di un portafoglio.