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Obbligazionari

Fed: avanti a tutta velocità

Per la terza volta quest’anno la Federal Reserve statunitense (Fed) ha innalzato il proprio tasso d’interesse a breve termine di riferimento, una mossa che non ha affatto sorpreso la maggior parte dei partecipanti al mercato. Chris Molumphy, chief investment officer, Franklin Templeton Fixed Income Group, illustra le sue opinioni sul percorso di “normalizzazione” intrapreso dalla Fed alla luce di quello che egli considera un contesto economico statunitense complessivamente positivo.

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La riunione sulla politica monetaria statunitense ha riservato poche sorprese; la Federal Reserve (Fed) ha infatti proseguito il proprio percorso di normalizzazione, innalzando il proprio tasso di riferimento (il tasso dei Fed Fund) di 25 punti base per la terza volta quest’anno, portandolo a una fascia del 2%-2,25%. La Fed ha inoltre aggiornato le sue previsioni economiche e sulla politica monetaria, che riflettono un contesto economico generalmente positivo.

Gran parte dell’attenzione dei media sembra focalizzata sull’eliminazione, da parte della Fed, del termine “accomodante” dalla sua dichiarazione ufficiale concernente il proprio orientamento in termini di politica monetaria. Nella conferenza stampa a margine della riunione, il presidente della Fed Jerome Powell ha affermato in sostanza che quel termine non era più necessario, considerato lo stato dell’economia, e non ha indicato alcun cambiamento in termini di graduale irrigidimento del percorso intrapreso dalla Fed.

“La nostra economia è forte. La crescita prosegue a un ritmo robusto. La disoccupazione è bassa. Il numero di persone che lavorano è in costante aumento. L’inflazione è bassa e stabile”, ha affermato, aggiungendo poi: “È un momento particolarmente brillante per l’economia statunitense”.

Guardando alle previsioni e al commento della Fed, non mi soffermerei molto sull’eliminazione del termine “accomodante” nel senso di un eventuale cambiamento della traiettoria dei rialzi dei tassi che la Fed ha delineato per il futuro. Sembra piuttosto evidente che continuerà a irrigidire la politica monetaria.

Gli interventi e le dichiarazioni della Fed indicano un’economia statunitense con robusti fondamentali. Nel secondo trimestre il prodotto interno lordo statunitense è cresciuto del 4%+ (anno su anno) e nel terzo trimestre la crescita sembra essere proseguita a un ritmo robusto, considerati i dati sull’occupazione e altri ampi indicatori economici.

Alla luce di questo buon contesto fondamentale, riteniamo che sia salutare per la Fed proseguire il graduale percorso di irrigidimento da essa intrapreso ormai da qualche tempo.

I fondamentali contano più delle incognite

Il mercato ha gestito senza difficoltà i rialzi dei tassi e negli ultimi mesi è riuscito a scrollarsi di dosso molte incertezze, come ad esempio quelle relative ai dazi, alla volatilità dei mercati emergenti e alla corsa per le elezioni statunitensi di medio termine di novembre, che potrebbero cambiare la composizione del Congresso.

Il comportamento del mercato sembra indicare che il suo interesse è rivolto di più ai fondamentali -ossia l’economia e gli utili societari – che a queste incognite. In larga misura, la Fed concorda. Sebbene le autorità della Fed abbiano discusso di questi rischi potenziali, non hanno elaborato alcuna ipotesi su di essi nelle loro previsioni. Di seguito riportiamo le ultime proiezioni:

  • La Fed ha rivisto al rialzo la sua stima di crescita degli Stati Uniti per il 2018 al 3,1% dalla precedente previsione del 2,8%.
  • La proiezione di inflazione per il 2018 (basata sulle spese al consumo personali) è rimasta al 2,1% e anche la previsione a più lungo termine per il 2020 è rimasta al 2,1%.
  • La proiezione relativa al tasso di disoccupazione per il 2018 è salita leggermente al 3,7% rispetto al precedente 3,6%.
  • La Fed continua a prevedere un totale di quattro rialzi dei tassi d’interesse nel 2018, portando il tasso dei Fed Fund al 2,4%, e ha mantenuto la sua proiezione per il 2020 al 3,4%.

L’ultimo “dot plot” della Fed continua a mostrare un irrigidimento piuttosto aggressivo. Il mercato sembra nutrire ancora qualche scetticismo circa l’effettivo rialzo dei tassi d’interesse fino al livello indicato dalla Fed come normale o neutrale, ossia intorno al 3%.

Continuiamo a considerare il percorso di normalizzazione dei tassi intrapreso dalla Fed come un fattore positivo e i principali rischi di mercato non sono probabilmente legati ai fondamentali. Gli Stati Uniti sono piuttosto avanti nel loro attuale ciclo di espansione economica ed è pertanto prudente dotarsi di molte munizioni di fine del ciclo per prepararsi alla prossima recessione.

Negli Stati Uniti vi è stato soltanto un altro ciclo lungo 10 anni dopo la Seconda Guerra Mondiale. Con il tasso dei Fed Fund in rialzo fino ad almeno il suo tasso neutrale, la banca centrale ha maggiore flessibilità per stimolare l’economia, se necessario. In Europa o in Giappone i tassi di riferimento sono ancora negativi o quasi e le rispettive banche centrali non hanno ancora concluso i programmi di allentamento quantitativo dall’ultima recessione e questo è preoccupante. Sebbene non prevediamo una crisi economica a breve termine, sappiamo che finirà col verificarsi.

Scambi commerciali

Quando gli è stato chiesto quale fosse l’impatto economico delle recenti preoccupazioni sugli scambi commerciali e sui dazi, Powell ha affermato che nel complesso l’impatto sull’andamento economico degli Stati Uniti non è significativo, ma che il calo della fiducia delle imprese è un fattore preoccupante.

“Abbiamo ascoltato toni sempre più preoccupati delle imprese di tutto il paese per eventuali disagi nelle catene dell’offerta, aumenti dei costi dei materiali e perdite dei mercati…. I dazi potrebbero offrire alle società la possibilità di aumentare i prezzi.”

Powell ha aggiunto inoltre che al momento la Fed nei dati non osserva alcun segnale di tali aumenti dei prezzi.

A nostro avviso, pertanto, la Fed considera i dazi come un rischio una tantum, ma perché abbiano un impatto sull’economia devono esservi maggiori disordini. La Fed sta mettendo in chiaro di essere al corrente del potenziale impatto, ma che attualmente non sta fissando la politica monetaria sulla base di esso.

La capacità predittiva della curva dei rendimenti potrebbe non essere così predittiva questa volta

Quest’anno si è parlato molto dell’appiattimento della curva dei rendimenti, ossia una rappresentazione grafica della differenza tra strumenti a tassi d’interesse a breve e lungo termine. La curva dei rendimenti diventa negativa quando i rendimenti su strumenti come i Treasury a breve termine sono più alti di quelli degli strumenti a lungo termine. Storicamente, questa inversione dalla normale curva dei rendimenti, in cui i tassi a lungo termine sono più alti, è stata l’anticamera di una recessione.

Sebbene a nostro parere questo è ciò che stiamo osservando, il potere predittivo della curva dei rendimenti potrebbe non essere così efficace come lo è stato in passato, perché in quest’era di allentamento quantitativo globale le banche centrali intervengono sui mercati in modo non tradizionale. Hanno acquistato volumi significativi di titoli, incidendo in tal modo sui loro prezzi. Ciò significa che vi sono forze non fondamentali in azione.

Solitamente, la Fed assume una view di lunghissimo termine ed è riluttante a rivedere al rialzo le sue proiezioni di inflazione a breve o lungo termine a meno che non vi sia un valido motivo per farlo. Alla luce di tutto questo, non abbiamo visto la Fed modificare le sue proiezioni di inflazione a lungo termine dall’ultima riunione. Powell ha affermato che la Fed non prevede un’impennata dell’inflazione.

A nostro parere, il ritmo dei rialzi dei tassi d’interesse da parte della Fed è stato normale e salutare in questo punto del ciclo economico. Pensiamo che i mercati dovrebbero riuscire a gestire senza problemi questa normalizzazione della politica monetaria.

 

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