Beyond Bulls & Bears

Obbligazionari

Una prospettiva macroeconomica globale: populismo, scambi commerciali e volatilità nei mercati emergenti

Questo contenuto è disponibile anche in: Inglese Cinese semplificato Francese Tedesco Polacco

Michael Hasenstab, Chief Investment Officer, Templeton Global Macro e Calvin Ho, Vice President & Deputy Director of Research, parlano delle turbolenze nei mercati emergenti, delle persistenti preoccupazioni per la politica commerciale e delle tendenze di crescita divergenti nel mondo sviluppato.

Ascoltate il nostro ultimo podcast “Talking Markets”.

Ecco qualche punto saliente delle opinioni espresse da Hasenstab e Ho nel podcast:

  • Michael Hasenstab: “Riconosciamo che l’economia statunitense è in effetti piuttosto forte. Di conseguenza, i Treasury hanno cominciato a salire e riteniamo che ci siano ancora spazi”
  • Michael Hasenstab: “Salvo in caso di inversione di rotta del populismo, ritengo che le fondamenta dell’euro come valuta saranno messe in discussione nei prossimi 5-10 anni”
  • Calvin Ho: “In realtà l’Italia non è l’unico paese ad avere problemi. Sta riflettendo i problemi, l’infrastruttura, dell’area euro nel suo complesso. Notiamo che molta gente in Europa non vuole sofferenze nel breve termine, ritenendo incerti i benefici di lungo termine”
  • Michael Hasenstab: “Il calo registrato ad agosto dai mercati emergenti non è ancora stato completamente recuperato, ma non vediamo ragioni per cui ciò non debba succedere, dato che i fondamentali sono in ordine”

Segue la trascrizione completa del podcast.

Conduttore/Richard Banks: Buongiorno e benvenuti a Talking Markets di Franklin Templeton Investments: analisi esclusive e approfondite di Franklin Templeton. Sono Richard Banks, il conduttore.In questo episodio parleremo delle preoccupazioni di lungo termine nell’eurozona dovute a populismo, politica e sentiment. Michael Hasenstab, Chief Investment Officer, Templeton Global Macro, spiega perché ritenga che nei prossimi anni la UE potrebbe dover affrontare problemi significativi. Inoltre, parleremo di come trarre vantaggio dalla recente volatilità nei mercati emergenti. Calvin Ho, Vice President & Deputy Director of Research, Templeton Global Macro, lancia inoltre una potenziale avvertenza sui contenziosi commerciali per il medio e lungo termine.  

Conduttore/Richard Banks: Katie Klingensmith, Franklin Templeton, intervista i Dottori Ho e Hasenstab. Katie, a te le interviste.

Katie Klingensmith: Grazie Richard… Michael, partiamo da te e da come vedi attualmente il panorama globale. Suppongo che tutto abbia origine dalla continua crescita economica negli Stati Uniti, vero?

Michael Hasenstab: Siamo consapevoli che l’economia statunitense è in effetti piuttosto forte: sia che si tratti degli indici ISM [Institute for Supply Management] che dei dati sul lavoro, anche il tono delle osservazioni della Fed [Federal Reserve] sta cambiando per riconoscere che siamo in una situazione di piena occupazione, in cui l’economia sta crescendo a un ritmo alquanto robusto. Se esaminiamo i dati del PIL, tanto per fare un esempio, notiamo che sono robusti e che i rendimenti dei Treasury hanno pertanto cominciato a salire. Abbiamo così osservato un’evoluzione piuttosto rilevante e riteniamo che ci siano ancora spazi. Abbiamo inoltre assistito al recupero dello yen con il differenziale sui tassi d’interesse e la rielezione del Primo Ministro [giapponese] [Shinzō] Abe, che consente di proseguire l’Abenomics e la politica accomodante, mentre la Fed procede a una stretta monetaria e il differenziale sui tassi d’interesse indebolisce lo yen.

In generale, abbiamo osservato anche qualche debolezza dell’euro sulla scia delle preoccupazioni per il populismo e dei problemi di bilancio. Per quanto riguarda i mercati emergenti, ritengo che questo quadro di crescita ragionevolmente soddisfacente, in combinazione con il fatto che la Turchia è isolata e non sta contagiando il resto dei mercati emergenti, abbia creato una certa stabilità.

Katie Klingensmith: Hai accennato alla debolezza dell’euro e so che si tratta di un’area che tu e il tuo team state seguendo attentamente. Veniamo a te, Calvin. Quali sono le tue prospettive in merito a quanto sta accadendo nell’eurozona?

Calvin Ho: Beh, penso che la prima cosa da ricordare sia che il 2017 è stato un anno eccellente per l’area euro. La crescita è stata del 2,4%, un dato che non era stato più raggiunto o superato dal 2007. Di conseguenza, lo scorso anno è stato sostanzialmente il migliore per l’euro. E auspichiamo che la crescita cominci ad attenuarsi. Il consensus di mercato è intorno al 2%, il prossimo anno sarà prevedibilmente un po’ inferiore al 2%, ma in effetti osserviamo un rischio di downside. Una delle ragioni è che la nostra stima di potenziale crescita per l’area euro è di circa l’1,5%. Non ci sorprenderemmo quindi se il prossimo anno la crescita fosse inferiore al consensus di mercato dell’1,8%.

Katie Klingensmith: Michael, ciò che ti preoccupa è l’incremento del populismo?

Michael Hasenstab: A mio giudizio, questo è probabilmente il problema maggiore. Calvin e io ne abbiamo parlato a lungo e, come ha sottolineato lui, un’unione monetaria non può funzionare se prima non si ha un’unione politica, come quella sviluppata dagli Stati Uniti nel corso di parecchi secoli. Bisogna creare un’unione politica, per poi coronare l’intero processo con un’unione monetaria. L’Europa ha creato un’unione monetaria prima di avere un’unione politica e ha cercato di farla funzionare a tutti i costi. E direi che ha funzionato, forse fino allo scorso anno, fino alla crisi dei migranti e dei rifugiati. L’Europa è riuscita a unirsi nel 2011, pur non avendo un’unione fiscale e bancaria, ha messo insieme alla bell’e meglio una mezza unione bancaria e lanciato quella fiscale.

Il problema è che la politica dettata da ciò a cui la gente tiene realmente è radicalmente cambiata. Ora, le maggiori preoccupazioni vertono su crisi dei rifugiati, terrorismo, immigrazione ed è questo cambiamento nelle preferenze degli elettori che ha portato all’elezione del Movimento Cinque Stelle in Italia, a un governo di destra in Austria, a governi di estrema destra in Ungheria e Polonia, al rafforzamento di partiti nazionalisti e anti-UE in Germania. È molto difficile portare avanti quest’idea di unione politica quando il clima elettorale è populista o ultra-nazionalista e i politici hanno il controllo, perché la loro tendenza è guardare al loro paese, che è l’opposto di un’unione politica. E questo è un problema.
L’altro problema è che per la maggior parte di questi partiti, il populismo tende a prevedere grandi spese e l’eurozona non funziona senza responsabilità fiscale, perché se l’Italia non è fiscalmente responsabile, i tedeschi non intendono neutralizzare il debito. E senza un comune accordo per lavorare a qualche sorta di unione fiscale, l’eurozona non funziona. Di conseguenza, ritengo che alla luce del populismo, salvo nel caso di un’inversione di rotta di cui francamente non ravvisiamo segnali in alcuna parte del mondo, le fondamenta dell’euro come valuta saranno messe in discussione nei prossimi 5-10 anni. Significativamente in discussione.

Calvin Ho: Credo che in tal senso sia interessante notare che in realtà l’Italia non è l’unico paese ad avere problemi. Rispecchia solo i problemi, l’infrastruttura, dell’area euro nel suo complesso. Nessun paese ha una politica monetaria indipendente. La politica fiscale è vincolata dalle norme di stabilità. Ora, ci sono problemi sociali, di immigrazione, di accoglienza ai rifugiati e una decelerazione dell’economia europea nel suo complesso, cui ho accennato prima parlando delle prospettive. E se mettiamo tutto insieme, osserviamo in effetti un rischio di downside.
Katie Klingensmith: Che cosa pensi che succederà, e quali potrebbero essere le soluzioni per queste problematiche?

Calvin Ho: Si può pensare a una serie di soluzioni di cui gli economisti parlano da molti anni. La prima è la necessità di attuare riforme strutturali. Se non si può modificare il tasso di cambio normale, bisogna modificare la competitività del tasso di cambio reale. E naturalmente, come osserviamo, la realtà è che molte persone in Europa non sono disposte ad accettare sofferenze nel breve termine, considerando incertezza dei benefici di lungo termine.

La seconda possibilità è fare in modo che le persone si spostino dai paesi deboli a quelli più forti. E anche questo è molto difficile che si possa verificare, a causa di barriere culturali e dell’assenza di unioni politiche.

L’elemento finale, attualmente auspicato da molti, ma che finora non si è ancora concretizzato, è l’unione fiscale. Il trasferimento delle risorse di alcuni paesi, i paesi forti, verso i paesi deboli. Ma anche questo è un problema di unione politica che nessuno sembra accettare.
Michael Hasenstab: Ciò è andato in porto a fatica con la Grecia, e i livelli di debito dell’Italia sono infinitamente più elevati. Di conseguenza, poiché il cambiamento politico e l’entità del problema sono decisamente più grandi, è molto difficile immaginare un’unione fiscale.

Calvin Ho: Penso che sia possibile. Se riesaminiamo gli sviluppi statunitensi che hai citato, il modo in cui si arriva alla realizzazione di unioni economiche e politiche, un aspetto importante da tenere presente quando si pensa agli Stati Uniti è che ogni passo importante compiuto dal paese è sostanzialmente scaturito da una crisi.

Vorrei citare soltanto alcuni esempi.

In occasione della prima guerra mondiale, gli Stati Uniti avevano bisogno di denaro e così crearono l’imposta federale sul reddito: una crisi.  Nel 1907, negli Stati Uniti si registrò una grossa crisi bancaria e fu creata la Federal Reserve. Gli anni Trenta furono l’epoca della Grande Depressione, che portò alla creazione di un sistema bancario regolamentato, e alla conseguente creazione di garanzie bancarie e programmi assicurativi corrispondenti.

Notiamo quindi che ogni crisi ha portato a compiere un passo avanti. Ora, guardiamo a un periodo di 10 anni nelle aree dell’euro; nel 2010-2012 vi è stata una crisi e dobbiamo chiederci: l’area euro ha il coraggio di continuare in questa difficile impresa?

Katie Klingensmith: Cosa pensi del ruolo della BCE [Banca Centrale Europea] e della possibile conclusione dello stimolo monetario?
Calvin Ho: Ritengo che la BCE sia stata molto chiara nell’annunciare la decisione di porre termine al QE [quantitative easing] entro la fine di quest’anno. L’attuale volume mensile di acquisti è di 15 miliardi di euro. Ma la banca ha anche dichiarato che i tassi d’interesse non saranno modificati, almeno fino alla fine dell’estate [2019]. Credo pertanto che gli elementi da ricordare siano due. Il primo è che attualmente la BCE ha oltre 2 trilioni di euro nei propri programmi di QE, che continueranno a essere rinnovati, così da mantenere la liquidità.
Il secondo, più importante, è ciò che hai ricordato a proposito dell’Italia. Ogni volta che la BCE modifica il tasso d’interesse, i tassi d’interesse elevati subiscono una stretta. Ciò si ripercuote sul rendimento delle obbligazioni governative e secondo le nostre stime le migliori sostenibilità dell’Italia potrebbero non essere sostenibili qualora il tasso d’interesse salisse oltre il 3,5%,-3,6%. Ritengo pertanto che esista un reale vincolo politico ed economico in ragione del quale la BCE impedirà una stretta eccessiva e di conseguenza, pensando al dollaro e all’euro, crediamo che i differenziali d’interesse continueranno ad ampliarsi, con effetti positivi per il dollaro.
Katie Klingensmith: Tornando agli Stati Uniti, Michael, tu ti aspettavi il recente aumento del rendimento dei Treasury decennali. Per il futuro, che cosa ti aspetti?

Michael Hasenstab: Un anno fa, quando il rendimento era al 2% e sostenevamo che sarebbe tranquillamente arrivato al 3%, molti non ci hanno creduto. Ora è di poco superiore al 3% e potrebbe tranquillamente superare il 4%. Ancora una volta, ci sono state poste molte domande. Ma se guardiamo alla tempesta perfetta che portato all’aumento dei rendimenti statunitensi, abbiamo una tesi molto interessante. L’attività economica statunitense, passata attraverso una deregolamentazione, tagli delle imposte e quindi alcuni investimenti piuttosto robusti, sta certamente crescendo al di sopra del potenziale.
Sul fronte dell’inflazione, vi è un mercato del lavoro che marcia indiscutibilmente a piena capacità, come attestato da qualunque parametro. Se c’erano persone costrette ad accettare lavori interinali mentre volevano lavori a tempo pieno, ora trovano lavori a tempo pieno. I dati relativi ai livelli salariali indicano che è finalmente iniziata un’accelerazione.

Il mercato del lavoro è caratterizzato dalla piena occupazione e cresce la tensione, il che è inflazionistico. Poi ci sono i contenziosi commerciali. Non ritengo che si siano trasformati in una guerra commerciale, ma esistono contenziosi commerciali a causa dei quali i consumatori statunitensi sono destinati a pagare un prezzo più elevato per i beni che acquistano. Abbiamo beneficiato di beni/importazioni cinesi a basso prezzo e ora li pagheremo di più. A mio avviso tutti questi fattori sono inflazionistici. Sicuramente le pressioni deflazionistiche non stanno crescendo.

Esaminiamo ora il governo statunitense. Di norma, in passato, le amministrazioni repubblicane avevano un certo grado di rigore di bilancio; ora il rigore di bilancio è a zero, e a questo punto indipendentemente dal partito di appartenenza i politici sembrano intenzionati a spendere il denaro che non hanno. E così si creano crescenti deficit fiscali. Oltre a ciò, ora esistono meno acquirenti. La Fed segue un percorso diverso dalla BCE; la BCE cesserà di attuare il QE, ma non ridurrà il proprio bilancio, mentre la Fed ha un programma di riduzione del proprio bilancio e pertanto non sarà in grado di finanziare il deficit come aveva fatto in passato. E poi ci sono gli acquirenti esteri, in un quadro di stabilizzazione della crescita delle riserve; vi potrebbe essere un leggero aumento sulla scia di prezzi del petrolio più elevati, ma la maggior parte dei paesi, come per esempio l’Arabia Saudita, è gravata da deficit di bilancio così elevati che persino con il petrolio a 100 non riuscirebbe ad accumulare le riserve di un tempo. Nemmeno i cinesi stanno accumulando riserve. I paesi esportatori di petrolio, a causa di problemi interni e deficit di bilancio, non lo stanno facendo e quindi non abbiamo i due maggiori acquirenti che avevamo un tempo, ossia i governi esteri e il governo degli Stati Uniti. Alla luce di tutti i fattori descritti, anche se forse per alcuni è stata una sorpresa, quest’andamento non dovrebbe sorprendere, dato l’enorme divario nei rendimenti dei Treasury e probabilmente vi sono ulteriori spazi di movimento.

Katie Klingensmith: Calvin, hai accennato alle tensioni commerciali, ma non sembri ancora troppo preoccupato per le implicazioni.

Calvin Ho: Penso che la prima cosa da ricordare sia che a questo punto non sappiamo veramente bene quale sarà il risultato. Se esaminiamo i dati del WTO [Organizzazione mondiale del commercio], vediamo che i dazi statunitensi si aggirano intorno al 3,5%. Secondo le statistiche, quelli della Corea [del Sud] sono per esempio intorno al 10%. Di conseguenza, se alla fine i dazi coreani dovessero scendere e quelli statunitensi non dovessero salire, in pratica ci sarebbe un miglioramento.

La seconda cosa che dovremmo ricordare è che in effetti osserviamo qualche segnale di compromesso. Vediamo che Canada, Messico e Stati Uniti hanno perfezionato un accordo. Che anche la Corea [del Sud] e gli Stati Uniti ora hanno raggiunto un accordo. Di conseguenza, notiamo alcuni segnali positivi. Ma se pensiamo agli effetti specifici delle tensioni commerciali, ritengo che dovremmo ricordare che prima di tutto gli Stati Uniti sono un’economia relativamente chiusa e le esportazioni o le importazioni incidono sul PIL in misura inferiore al 20%. Penso quindi che gli effetti dei dazi sulla crescita siano piuttosto modesti; poi non dobbiamo dimenticare che negli Stati Uniti abbiamo regolamentazione e riforma delle imposte, ossia stimoli che compenseranno agevolmente i modesti impatti delle tensioni commerciali.

Tuttavia, ritengo che dovremmo preoccuparci per alcuni problemi di medio-lungo termine. Un semplice esempio: pensiamo al 2008-2009, quando l’economia globale arrivò sull’orlo del crollo e tutte le banche centrali si coordinarono, allentando i tassi d’interesse, concertando i rispettivi interventi e varie economie e governi attuarono contemporaneamente stimoli fiscali all’insegna della fiducia reciproca. Ora, se le tensioni commercial diventano un segnale di sfiducia tra i governi, se arriviamo alla fine del ciclo, possiamo confidare nel fatto che tutti questi governi riescano a collaborare in modo efficace come abbiamo visto nel 2008-2009? Questo è più che altro un problema di medio-lungo termine cui dobbiamo prestare attenzione. Penso che la gente talvolta esageri sugli impatti dei dazi sull’economia statunitense. Ripeto che sono marginali.

Katie Klingensmith: Bene, dedichiamo ora alcuni minuti ai mercati emergenti. Molta volatilità durante l’estate, persino timori di contagio per i ME. Ma negli ultimi tempi abbiamo osservato una certa stabilità, vero Calvin?

Calvin Ho: Beh, penso che il modo migliore di valutare questo aspetto sia ripensare alla storia, a quanto è accaduto negli anni Ottanta, che di fatto hanno rappresentato un decennio perduto per il Sudamerica. Negli anni Novanta abbiamo poi sostanzialmente assistito a una crisi dopo l’altra, in tutti i ME. E in passato, abbiamo notato che le crisi sono più o meno articolate in tre fasi. La prima fase riguarda i paesi nell’area di cambio Pac [Pacifico]; hanno una valuta sopravvalutata, deficit delle partite correnti e sono quindi gravati da pesanti pressioni. Questa è in pratica la prima fase, di natura contagiosa per ciascuno di tali paesi.
Nella seconda fase le persone, gli investitori e gli economisti cominciano a porsi domande come: il debito statale della Thailandia (che fu l’epicentro della crisi del 1997) è sostenibile, oppure la Corea [del Sud] ha corretto le ripercussioni del debito societario sul governo, con conseguenti problemi di solvibilità. E questa è la seconda fase. L’ultima fase è quella in cui entra in gioco l’FMI, che concede pacchetti ai diversi paesi per risolvere il problema.
Ora, ad agosto, abbiamo più o meno assistito alla prima fase e visto una serie di ME subire contagi sul fronte valutario, con pressioni sulle valute. L’interrogativo è se siamo entrati nella seconda fase. Per esempio, qualcuno parla di Thailandia, il primo paese entrato in crisi nel 1997? Qualcuno parla della sostenibilità o non sostenibilità del debito? Come investitori, sembra che ora siamo vicini alla fine della prima fase o all’inizio della seconda e che la gente in effetti riconosca che vi siano pressioni, ma che in tali paesi non vi sia alcun problema di solvibilità. Penso che esista una notevole differenza tra la situazione precedente e quella attuale.

Michael Hasenstab: A conferma di ciò, ritengo che la buona notizia sia che abbiamo avuto numerosi periodi di queste pressioni sui cambi. Intendo dire che non è la prima volta che il real brasiliano sale del 4%, è già successo. Abbiamo quindi già avuto in passato questo test della prima fase, ma la seconda fase non si è mai sviluppata. Di conseguenza, non abbiamo assistito ad alcuna significativa insolvenza societaria o sovrana sulla scia di tassi di cambio più deboli, il che ci dice che l’effetto domino sul debito di un tasso di cambio debole si è interrotto nel caso dei paesi che hanno imparato dalle lezioni del passato, ed è quello che abbiamo visto in America Latina e in Asia. Ora, penso che la Turchia sia un problema a sé stante, le sue politiche interne sono ovviamente insostenibili e il tutto rientra in un campo separato. Come sappiamo, abbiamo avuto deprezzamenti rilevanti ma nessuna grave ripercussione sull’economia reale o su tale sostenibilità. Il mercato ha avuto una crisi di panico immediata, il tasso di cambio si è deprezzato, il paese sta per andare in default, non è il caso.

Katie Klingensmith: Cosa pensi dei timori che questi paesi siano vulnerabili a deflussi di capitale?

Michael Hasenstab: Molti capitali se sono andati. Prendiamo per esempio l’Argentina: negli ultimi 10-15 anni è stata lasciata fuori dai mercati di capitali e nel paese non sono presenti capitali esteri. Pertanto, in pratica non vi possono essere deflussi. Abbiamo osservato una certa volatilità, un po’ più elevata in alcuni paesi e un po’ più bassa in altri; quanto al differenziale dei tassi, abbiamo quelli messicani al 7,5% rispetto ai rendimenti dei Treasury attestati al 3,25% e il divario è pertanto enorme. In Argentina i tassi sono al 60%; a mio giudizio, il rischio che il differenziale dei tassi d’interesse crolli o inverta la tendenza in parecchi di questi paesi con rendimenti più alti, perché hanno già avuto tassi elevati, è alquanto minimo. Vi sono alcuni paesi con bassi rendimenti in cui tale differenziale dei tassi d’interesse si invertirà e sono pertanto più vulnerabili.

Di conseguenza, i mercati emergenti non sono tutti uguali; ci siamo concentrati su paesi che hanno un vantaggio in termini di rendimenti, ci concentriamo su paesi con una migliore gestione delle passività e del tasso di cambio dollaro-valuta locale che non hanno problemi di debiti enormi e ci concentriamo su paesi in cui la politica ha assunto un profilo più prudente, allontanandosi dal populismo che osserviamo in paesi come l’Italia, gli Stati Uniti o il Regno Unito. Bisogna quindi essere molto selettivi, ma penso che esistano alcune opportunità e il semplice fatto che la Fed effettui un aumento di 25 o 50 punti base non significa che il Messico fallisca. Le vulnerabilità del Messico nella crisi del 1994-1995, quella del cosiddetto “effetto tequila” erano completamente diverse da quelle di oggi.

Katie Klingensmith: Hai citato l’Argentina, un paese che recentemente ha attirato molta attenzione a causa dei suoi problemi finanziari ed economici. Michael, come valuti la situazione e la politica monetaria veramente aggressiva attuata dal presidente Macri e dal governo?

Michael Hasenstab: Penso che ogni decisione politica presa stia andando nella direzione giusta, e non siamo solo noi a dirlo, nel settore privato. A mio giudizio, il pacchetto di quasi 57 miliardi di dollari statunitensi concesso dall’FMI rappresenta un’importante approvazione della correttezza di tali politiche. L’FMI non approva un progetto da oltre 50 miliardi di dollari statunitensi senza avere estrema fiducia nel fatto che siano perseguite tutte le politiche appropriate per la sostenibilità del debito e credo quindi che sia un segnale piuttosto chiaro. L’FMI è una sorta di commercialista globale che sorveglia la sostenibilità del debito e ha dato la sua approvazione. A distanza di 12 mesi dalle prossime elezioni, la popolarità di [Mauricio] Macri ha leggermente risentito di questa volatilità, ma 12 mesi sono un periodo lungo.

Le cose si stanno stabilizzando e se continueranno a farlo, credo che potrà recuperare la sua popolarità. Osserviamo anche gli altri protagonisti politici nel paese e abbiamo assistito a una scissione all’interno del vecchio partito peronista, tra [Cristina] Kirchner e una componente più moderata. Il partito di Macri ha collaborato con questo gruppo peronista più moderato allo scopo di approvare molte delle leggi più dure e importanti e pertanto esistono persone razionali all’interno di quel gruppo. Vi sono parecchi politici che hanno registrato un aumento di popolarità, per esempio il governatore della BA, che attua una politica molto prudente. Di conseguenza, se osserviamo l’intero panorama, non pensiamo che il paese dipenda da una sola persona, anche se riteniamo che quella persona abbia compiuto un lavoro eccellente. Rileviamo molti altri esiti politici che potrebbero rivelarsi positivi per il paese.

Katie Klingensmith: A proposito di politica e di elezioni, in Brasile sono in corso elezioni che vedono da una parte un candidato considerato di estrema sinistra, Fernando Haddad e dall’altra uno di estrema destra, Jair Bolsonaro. C’è da preoccuparsi per le opportunità in tale paese?

Michael Hasenstab: A mio giudizio, la cosa importante in Brasile è che, indipendentemente dal risultato elettorale, abbiamo osservato la fine del vecchio Partito dei Lavoratori [Partido dos Trabalhadores, PT], di livelli populisti elevati di corruzione, spese eccessive. Il fatto che gli elettori scelgano o preferiscano Haddad o Bolsonaro indica che la gente non vuole più il vecchio sistema. Non vuole una politica fiscale sconsiderata, vuole un giro di vite sulla corruzione ed entrambi i candidati, di destra e sinistra, hanno capito il messaggio e saranno eletti sulla base di tale programma, e ritengo che questa politica fiscale più responsabile e minore corruzione siano positivi per gli investitori. Credo pertanto che la nostra attenzione debba convergere sulla valutazione dei programmi economici di ciascun candidato. Ma le ricerche e i viaggi sinora compiuti ci fanno aspettare un cambiamento positivo, indipendentemente dal risultato.

Katie Klingensmith: In Asia abbiamo di recente osservato notevoli pressioni sulla rupia indiana e sulla rupia indonesiana. Ci sono preoccupazioni in questi due paesi?

Michael Hasenstab: Penso che la reazione del mercato sia eccessiva. Ritengo che le loro vulnerabilità al petrolio e a leggeri rialzi dei Treasury statunitensi siano sopravvalutate alla luce dell’andamento del tasso di cambio. Le partite correnti sono coperte. Da quasi un decennio la politica fiscale è piuttosto prudente nel caso dell’Indonesia. I due paesi non presentano livelli d’indebitamento elevati e hanno entrambi gestito il deprezzamento del tasso di cambio senza alcun problema di sostenibilità del debito, insolvenze societarie, eccetera. Crediamo pertanto che la reazione del mercato sia stata eccessiva.

Penso che per chi ha un orizzonte d’investimento di tre mesi, investire nei mercati emergenti sia molto difficile. Avendo un orizzonte di un paio d’anni, è possibile sfruttare queste flessioni che sono dettate dal panico e non basate sui fondamentali. Di conseguenza, penso che dall’epoca del cosiddetto “taper tantrum” [2013] [negli Stati Uniti] abbiamo assistito a una mezza dozzina di tali flessioni e quasi sempre sono state poi seguite da un rimbalzo. L’arretramento registrato ad agosto non è ancora stato completamente recuperato, ma non vediamo ragioni per cui ciò non debba succedere, dato che i fondamentali sono in ordine. Penso che gli investitori che si muovono con troppo anticipo e ritengono di agire furbamente, finiscano poi col bruciarsi. Se si acquista quando la situazione diventa stabile, poi arriva una flessione, seguita da panico e vendite. Chi ha venduto al minimo di ciascuna di tali fasi, ha probabilmente abbandonato l’asset class. Credo pertanto che un orizzonte più lungo e una differenziazione tra paesi diversi siano importanti.

Katie Klingensmith: Parliamo dei fattori ambientali, sociali e di governance (ESG) nei mercati emergenti. Quanto attenzione presti ai fattori ESG attualmente e intendi prestare in futuro?

Michael Hasenstab: Ritengo che i fattori ESG siano incorporati nelle nostre analisi dei mercati emergenti. Se non analizziamo la struttura di governo di un paese, le dinamiche di coesione sociale, le implicazioni ambientali della crescita di un paese o i costi dell’assistenza sanitaria o i problemi sociali, non possiamo capire il paese. Di conseguenza, sono un aspetto al quale il nostro team ha sempre prestato estrema attenzione, ma non l’abbiamo mai quantificato in termini numerici. Di recente, abbiamo pertanto estratto i parametri ESG da tutte le ricerche degli analisti, ottenendo così un indice, un livello base, della situazione in tutti i paesi; dopodiché, ci siamo detti: vediamo ora dove pensiamo che questo paese possa trovarsi di qui a tre anni e allineiamoci, come nel caso dei nostri investimenti, al delta positivo, al cambiamento positivo atteso.

Katie Klingensmith: Ringrazio Michael Hasenstab e Calvin Ho per il tempo che ci hanno dedicato e le analisi illustrate.

 

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Note Informative e Legali

Per un’analisi ancora più dettagliata dell’argomento, si rimanda alla versione integrale di Global Macro Shifts, una panoramica basata su ricerche sulle economie globali, comprendente analisi ed opinioni del Dr. Michael Hasenstab e di membri senior di Templeton Global Macro. Il Dott. Hasenstab ed il suo team gestiscono le strategie obbligazionarie globali di Templeton, inclusi reddito fisso unconstrained, valute e global macro. Questo team di economisti, formatisi in alcune delle migliori università del mondo, integra l’analisi macroeconomica globale con un’approfondita ricerca geografica allo scopo di identificare gli squilibri di lungo termine che si traducono in opportunità d’investimento.

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